L’argilla è la materia prima con cui è fatta la terra cotta. Si tratta di un sedimento prevalentemente marino costituito da cristalli silicatici la cui particolare struttura cristallina a strati laminati ne determina la caratteristica malleabilità. Se idratata e manipolata l’argilla diviene estremamente plastica e plasmabile, se disidratata tramite cottura divenire dura e fragile.
Queste caratteristiche e la sua facile reperibilità in natura hanno spinto l’uomo sin dal neolitico ad utilizzarla per creare oggetti e manufatti utili per la vita di tutti i giorni, per la lavorazione e conservazione di formaggi, olii e derrate alimentari, acqua, vino e sostanze liquide. La ceramica essendo impermeabilità e resistente al calore consentiva di preparare e lavorare alimenti liquidi o semiliquidi e di cuocerli direttamente sul fuoco come il latte ad esempio per fare i formaggi.
I primi vasi furono realizzati con impasti grossolani, inizialmente la terra cotta era prodotta con argilla lavorata a mano secondo la tecnica “a colombino” cioè attraverso la sovrapposizione di cordoni cilindrici di argilla senza l’ausilio del tornio che verrà successivamente.
Si parla di ceramica impressa nelle fasi più antiche del neolitico perchè il vaso ancora fresco e morbido veniva decorato attraverso motivi impressi nell’argilla con le dita o attraverso vari strumenti ricavati da conchiglie, legno e altro.
A questa prima fase è seguita quella graffita in cui le superfici dei vasi venivano graffiate con un bulino, per poi passare alla fase successiva in cui compaiono le decorazioni dipinte con ocra e pigmenti vari mescolati a grassi naturali.
Col passare dei secoli, man mano che l’arte figulina si perfezionava sempre più, gli oggetti in terracotta, in special modo i vasi, hanno rivestito una grande importanza per gli aspetti religiosi acquisendo una valenza sempre più rituale e sacra divenendo essi stessi oggetti sacri.
E’ proprio grazie alle vaste produzioni di vasi antichi che oggi, attraverso le scene rappresentate sulla loro superficie, veri e propri libri aperti sul mondo antico, possiamo provare a comprendere e interpretare i miti dell’antichità attraverso la rappresentazione dei rituali che per la loro natura misterica non ci sono stati tramandati in forma scritta.
La prima ceramica a Matera risale al Neolitico antico, circa 7500 anni prima di Cristo, nell’area di Matera nei dintorni dei villaggi trincerati si produce vasellame in terra cotta e in ambito archeologico un particolare tipo di questa è conosciuta universalmente come Ceramica facies di Serra D’alto che prende il nome proprio da un sito archeologico neolitico nei pressi di Matera.
Inizialmente la ceramica era dipinta con semplici bande rosse o brune su fondo chiaro, poi si è passati a complessi motivi decorativi geometrici in cui comparivano meandri e spirali. La cultura della ceramica dipinta si diffuse in particolare nel sud Italia e nelle isole e durante l’ultima fase del Neolitico, intorno a 5.000 anni fa, fiorì in Lucania e in tutto il sud una cultura caratterizzata dalla produzione di vasi privi di ornamenti denominata facies Diana-Bellavista.
Con l’arrivo delle colonie greche nella piana del metapontino la produzione di terra cotta lucana si è arricchita di manufatti legati prevalentemente ai vari culti e ai defunti. Vi fu una enorme produzione di piccole statuette realizzate in serie attraverso l’uso di stampi oltre che naturalmente di altra l’oggettistica legata alla vita quotidiana lavorativa e domestica.
Questa lunghissima tradizione probabilmente non si è mai interrotta infatti oggi osserviamo nella produzione di vasellame tradizionale, oggetti in terra cotta molto simili a quella del tempo dei greci e dei romani. Naturalmente questi oggetti hanno perso la valenza cultuale che avevano divenendo tradizionali ma mantenendo alcune valenze rituali, si pensì al tipico fischietto materano denominato Cucù che veniva regalato agli sposi in quanto simbolo di fertilità.
Fino all’avvento della plastica alla metà del novecento buona parte degli oggetti di uso quotidiano a Matera erano realizzati in terra cotta. I vasai producevano in grandi quantità di pezzi a prezzi modici; piatti, bicchieri, brocche e orci. Il vasaio si recavano a dorso di mulo a raccogliere particolari varietà di argilla in aree vicine alla città dove trovavano una terra indicata per quel tipo di lavorazione. La terra argillosa veniva dapprima frammentata e setacciata poi impastata e resa malleabile con l’ausilio dei piedi e, attraverso un processo di decantazione in acqua, purificata.
L’argilla ottenuta veniva lavorata con un tornio a pedale e cotta a legna in appositi forni, il processo era circolare, non avevano bisogno di intermediari o di altro che non si potesse trovare in natura per svolgere il loro lavoro. I vasai erano in grado di costruire sia i torni che i forni e non avevano bisogno che di un mulo, della terra, acqua e fuoco per portare a termine il loro lavoro.
Gli oggetti in terra cotta che producevano erano prevalentemente legati all’uso quotidiano.
Le brocche prodotte in varie fogge richiamavano generalmente forme femminili, famoso era il Cucumo “U Kicm” un’anfora con manici, un capolavoro di ingegneria e di chimica in grado di produrre acqua fresca se messo in piano sole.
Poichè si beveva direttamente dall’imboccatura superiore e la bottiglia era pesante, poteva contenere anche cinque litri d’acqua, sia l’impugnatura che l’imboccatura erano realizzati in modo che fosse agevole bere per chiunque direttamente senza sforzarsi e bagnarsi. Il Cucumo, sfruttando le proprietà intrinseche di particolari tipi di argille e un noto fenomeno chimico legato all’evaporazione che estrae energia anzichè rilasciarla, l’acqua lasciata al sole evaporando dalle superfici porose del Cucumo rinfrescava l’itero recipiente e l’acqua in esso contenuta.
Vi erano anche altri tipi di brocche molto comuni per acqua e per vino e ve ne erano di veramente particolari. Una brocca a forma di disco veniva utilizzata per i salariati nei campi, era in grado di erogare la stessa quantità di vino ogni volta che veniva capovolta e per una sola volta. Gli zappatori a cui spettava un determinato quantitativo di vino all’interno del salario giornaliero, si avvicinavano a questa particolare brocca appesa e rovesciandola potevano bere il quantitativo di vino che gli spettava. Solo riposizionandola in verticale la brocca si ricaricava e permetteva di bere ancora.
Particolari erano le “brocche segrete” da cui era impossibile estrarre del liquido se non si conosceva il modo per farlo. Erano brocche chiuse che si riempivano dal fondo capovolgendole. Una volta raddrizzate presentavano in cima cinque ugelli tutti forati ma solo da uno, previa occlusione di un foro posto sotto il manico, era possibile bere o far uscire l’olio. A Matera per ogni funzione vi era un oggetto e a ogni oggetto era assegnato un nome.
Oggi l’uso quotidiano della terra cotta si è perso e le ceramiche sono prevalentemente a uso decorativo e di arredamento ad esclusione dei piatti, specie quelli da portata, che ancora oggi arricchiscono e abbelliscono le tavole di molti italiani. Nella produzione di ceramica di pregio materana va ricordata la fabbrica di ceramica artistica di Cappelluti che si è avvalsa anche della collaborazione dell’artista materano Guido Spera che era solito firmare le sue creazioni come “giesse”.
Altri oggetti che oggi definiremmo sopramobili al tempo invece avevano una funzione evocativa e di buon augurio come il famosissimo Cucù il fischietto a forma di uccellino/galletto in terracotta che veniva regalato agli sposi in segno di fertilità e buon augurio.